Parabola Del Fariseo E Del Pubblicano

Amico mio, avvicinati. Siediti qui, accanto a me. Vorrei parlarti di una storia, una parabola che sento particolarmente vicina al cuore, la parabola del fariseo e del pubblicano. Forse l'hai già sentita, ma oggi vorrei che la guardassimo insieme, con occhi nuovi, lasciandoci toccare dalla sua profonda verità.
Immagina, per un momento, il Tempio. Un luogo sacro, vibrante di preghiera e di speranza. In questo luogo, si ergono due figure. Un fariseo, uomo rispettato e osservante della legge, e un pubblicano, esattore delle tasse per conto dei Romani, considerato un peccatore agli occhi del popolo.
Il fariseo, con passo sicuro e sguardo fiero, si avanza verso il luogo di preghiera. In piedi, ben eretto, inizia la sua orazione. "Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte la settimana e pago la decima di tutto quello che possiedo". Senti, amico mio, la sua voce? È una voce che risuona di orgoglio, di auto-compiacimento. Il fariseo non si rivolge a Dio con umiltà, ma si autocelebra, enumerando le sue virtù, sottolineando la sua superiorità morale rispetto agli altri. Crede di meritare la grazia divina per i suoi meriti, per la sua rigida osservanza della legge.
Il pubblicano, invece, rimane in disparte. Non osa neanche alzare gli occhi al cielo. Si batte il petto, con un gesto di profondo dolore e contrizione, e dice: "Dio, abbi pietà di me, peccatore". Le sue parole sono semplici, dirette, permeate di autentica umiltà. Non cerca scuse, non si giustifica, riconosce la sua fragilità e si affida alla misericordia di Dio.
Ecco, amico mio, la chiave di tutto. La parabola non è una semplice condanna dell'ipocrisia e un'esaltazione dell'umiltà. È molto di più. È un invito a guardare dentro di noi, a smascherare le maschere che indossiamo, a riconoscere la nostra vera natura, fragile e bisognosa di perdono.
La Trappola del Giudizio
Spesso, senza rendercene conto, cadiamo nella trappola del giudizio. Ci confrontiamo con gli altri, li etichettiamo, li giudichiamo in base alle apparenze, alle loro azioni, al loro status sociale. Ci sentiamo superiori, migliori, perché magari seguiamo delle regole, perché abbiamo raggiunto determinati obiettivi, perché ci riteniamo più virtuosi. Ma questo, amico mio, è lo stesso errore del fariseo. Dimentichiamo che siamo tutti, nessuno escluso, peccatori bisognosi di grazia. Dimentichiamo che la vera giustizia non si basa sui meriti, ma sulla misericordia.
È facile criticare il fariseo. La sua arroganza è evidente, la sua auto-giustificazione è insopportabile. Ma quante volte, nel nostro piccolo, ci comportiamo come lui? Quante volte ci sentiamo in diritto di giudicare gli altri, di puntare il dito, di condannare i loro errori? Quante volte ci illudiamo di essere migliori degli altri, perché abbiamo evitato determinati peccati, perché abbiamo seguito determinate regole?
La parabola ci invita a essere onesti con noi stessi. A riconoscere le nostre debolezze, i nostri limiti, i nostri peccati. A smettere di giudicare gli altri e a concentrarci sul nostro cammino di conversione. A chiedere perdono a Dio e a perdonare gli altri.
Non è facile, lo so. Richiede un atto di coraggio, di umiltà, di autenticità. Richiede di spogliarsi delle nostre maschere, di abbattere i muri che abbiamo costruito intorno al nostro cuore, di lasciarci guardare da Dio nella nostra nudità.
L'Abbraccio della Misericordia
Ma è proprio in questo atto di verità che troviamo la vera libertà, la vera pace, la vera gioia. Quando riconosciamo la nostra fragilità, quando ci affidiamo alla misericordia di Dio, sperimentiamo un amore che va oltre ogni merito, ogni colpa, ogni giudizio.
Il pubblicano, con la sua umiltà, ci insegna questo. Non si nasconde dietro false apparenze, non cerca scuse per i suoi peccati, non si auto-giustifica. Si presenta davanti a Dio così com'è, con il cuore spezzato e la speranza di essere perdonato. E Dio, nella sua infinita misericordia, lo accoglie, lo perdona, lo giustifica.
"Vi dico", dice Gesù, "che questi tornò a casa sua giustificato, piuttosto che l'altro; perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chiunque si umilia sarà esaltato". Non è una promessa di ricompensa, amico mio. È una constatazione di fatto. Chi si affida alla propria forza, alla propria virtù, al proprio merito, si illude di poter controllare la propria vita, di poter meritare l'amore di Dio. Ma la verità è che siamo tutti dipendenti dalla sua grazia, tutti bisognosi del suo perdono.
Chi si umilia, invece, chi riconosce la propria fragilità, chi si affida alla misericordia di Dio, apre il suo cuore all'amore, alla pace, alla gioia. Smette di giudicare gli altri, di confrontarsi con loro, di competere con loro. Si concentra sul proprio cammino di crescita, di conversione, di amore.
E in questo cammino, amico mio, non siamo soli. Dio è con noi, sempre. Ci guida, ci sostiene, ci incoraggia. Ci perdona, ci ama, ci accoglie. Basta chiedere, basta aprire il nostro cuore, basta fidarsi di lui.
Ricorda sempre questa parabola, amico mio. Ricorda il fariseo, con la sua arroganza e la sua auto-giustificazione. Ricorda il pubblicano, con la sua umiltà e la sua fiducia nella misericordia di Dio. E scegli, ogni giorno, di essere come il pubblicano. Di riconoscere la tua fragilità, di affidarti all'amore di Dio, di perdonare te stesso e gli altri. Solo così potrai sperimentare la vera gioia, la vera pace, la vera libertà.







