Le Sette Parole Di Gesù Sulla Croce

Con umiltà e profonda riverenza, ci accingiamo ad esplorare uno dei momenti più sacri e intensi della storia dell'umanità: le Sette Parole pronunciate da Gesù Cristo sulla Croce. Un'indagine che, basandosi su secoli di studi teologici, filologici e storici, mira a penetrare il significato ultimo di queste espressioni, non come semplici frasi, ma come rivelazioni del cuore di Dio nel culmine della sua Passione.
Ogni parola, ogni silenzio tra di esse, è un tesoro inestimabile, un'eco che risuona attraverso i millenni, invitandoci a riflettere sul mistero dell'amore redentore, del perdono incondizionato e della speranza eterna. Il nostro approccio sarà quello di un pellegrinaggio spirituale, guidati dalla luce della Scrittura e illuminati dalla saggezza dei Padri della Chiesa, per accostarci, con timore e tremore, al Calvario.
La tradizione ci ha tramandato queste sette espressioni, raccolte dai Vangeli di Luca, Matteo e Giovanni, come un testamento spirituale lasciato da Cristo all'umanità. Un testamento che non parla di beni materiali o di gloria terrena, ma di un amore che si dona fino alla fine, di una misericordia che abbraccia anche il carnefice, di una fede incrollabile che trionfa sulla morte stessa.
La Prima Parola: Padre, Perdona Loro, Perché Non Sanno Quello Che Fanno (Luca 23:34)
Questa invocazione, che sgorga dalle labbra di Cristo nel momento stesso della sua crocifissione, è un atto di amore supremo, di perdono incondizionato verso coloro che lo stanno torturando e uccidendo. Non è un semplice gesto di clemenza, ma una preghiera potente che scaturisce dal cuore stesso di Dio, un appello al Padre affinché abbia misericordia di chi, accecato dall'odio e dall'ignoranza, non comprende la portata del suo gesto.
L'espressione "non sanno quello che fanno" non giustifica l'azione dei carnefici, ma ne sottolinea l'inconsapevolezza, la cecità spirituale che li rende incapaci di riconoscere il Figlio di Dio presente in mezzo a loro. Cristo non li scusa, ma intercede per loro, offrendo al Padre la sua stessa vita in espiazione dei loro peccati. Questa parola ci rivela la profondità dell'amore divino, un amore che non si lascia vincere dall'odio, ma lo trasforma in perdono, aprendo la via alla riconciliazione.
Analizziamo attentamente il verbo "perdona". Nel greco originale, troviamo il termine "aphes", che implica un rilascio, una liberazione dal peso del peccato. Cristo non chiede semplicemente al Padre di "ignorare" il peccato, ma di liberare i suoi carnefici dalla sua morsa, di guarire le loro ferite interiori e di aprire i loro occhi alla verità. Questa richiesta di perdono non è solo per i soldati romani o per i capi religiosi del tempo, ma per tutti noi, per ogni uomo e donna che, in un modo o nell'altro, contribuisce a crocifiggere Cristo attraverso i propri peccati e le proprie omissioni.
Questa prima parola è un invito costante alla conversione, a riconoscere la nostra fragilità e la nostra necessità di perdono. Ci ricorda che l'amore di Dio è più forte di ogni peccato e che la sua misericordia è sempre disponibile per chi si pente e si affida a lui.
La Seconda Parola: Oggi Sarai Con Me in Paradiso (Luca 23:43)
Rivolta al "buon ladrone", uno dei due malfattori crocifissi accanto a Cristo, questa promessa di salvezza immediata è un faro di speranza nel buio della sofferenza. L'uomo, riconosciuta la propria colpa e confessata la divinità di Gesù, implora: "Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno". La risposta di Cristo è immediata e inequivocabile: "Oggi sarai con me in paradiso".
Questa parola ci rivela che la salvezza non è legata a meriti o a opere, ma alla fede e alla fiducia in Cristo. Il buon ladrone, pur avendo commesso gravi errori nella sua vita, si affida alla misericordia divina e ottiene la promessa della vita eterna. L'espressione "oggi" sottolinea l'immediatezza della salvezza, la possibilità di accogliere l'amore di Dio anche nell'ultimo istante della nostra esistenza.
È importante notare che la parola "paradiso" non indica semplicemente un luogo fisico, ma uno stato di comunione con Dio, una condizione di beatitudine e di pace che trascende la realtà terrena. Cristo non promette al buon ladrone una ricompensa materiale, ma un'esperienza di amore e di gioia eterna nella sua presenza.
Questa seconda parola è un invito alla speranza, a non disperare mai della misericordia divina, a credere che anche nel momento più buio della nostra vita possiamo trovare la luce della salvezza.
La Terza Parola: Donna, Ecco Tuo Figlio! … Ecco Tua Madre! (Giovanni 19:26-27)
Pronunciata verso Maria, sua madre, e verso Giovanni, il discepolo amato, questa espressione è un atto di amore filiale e di sollecitudine pastorale. Cristo, pur sofferente sulla croce, si preoccupa del futuro della madre e del destino dei suoi discepoli. Affida Maria a Giovanni, stabilendo un nuovo legame familiare basato sulla fede e sull'amore.
"Donna, ecco tuo figlio!" non è solo un modo per indicare Giovanni, ma un titolo che richiama l'immagine della "nuova Eva", la madre di tutti i credenti. Maria, accogliendo Giovanni come figlio, diventa madre spirituale di tutti coloro che seguono Cristo. "Ecco tua madre!" significa che Giovanni, e con lui tutti i discepoli, sono chiamati ad accogliere Maria come guida e modello di fede.
Questa terza parola rivela la tenerezza del cuore di Cristo, la sua attenzione verso i bisogni degli altri, anche nel momento della sua massima sofferenza. Ci invita ad amare e a rispettare Maria, riconoscendola come madre della Chiesa e mediatrice di grazie.
Il trasferimento di cura di Cristo a Giovanni per sua madre, Maria, stabilisce un precedente di responsabilità e di continuità spirituale. Non è solo un atto di pietà, ma un'istituzione di una relazione che trascende i legami di sangue e fonda una nuova famiglia spirituale. Maria, la Madre Addolorata, diventa un simbolo di compassione e di perseveranza nella fede.
La Quarta Parola: Dio Mio, Dio Mio, Perché Mi Hai Abbandonato? (Matteo 27:46; Marco 15:34)
Questa invocazione, tratta dal Salmo 22, è l'espressione più intensa e misteriosa del dolore di Cristo. È un grido di angoscia, di solitudine, di apparente abbandono da parte del Padre. Non è un segno di disperazione, ma un'esperienza profonda di identificazione con l'umanità sofferente, con tutti coloro che si sentono abbandonati da Dio.
Questa parola è la più difficile da comprendere, perché sembra contraddire l'idea della perfetta unità tra il Padre e il Figlio. Tuttavia, è proprio in questo momento di apparente abbandono che si rivela la profondità dell'amore di Cristo, che si fa carico di tutti i peccati del mondo, sperimentando sulla propria carne la separazione da Dio che il peccato produce.
"Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" è un grido di solidarietà con l'umanità sofferente, un'affermazione che Dio non è indifferente al nostro dolore, ma lo condivide e lo trasforma in redenzione. Questa quarta parola è un invito a non avere paura di gridare a Dio nel momento della sofferenza, a non nascondere il nostro dolore, ma a confidare nella sua presenza anche quando ci sembra assente. Ci ricorda che la fede non è assenza di dubbi, ma fiducia in Dio nonostante i dubbi.
Nelle profondità di questa parola, si cela il mistero della kenosi, l'auto-svuotamento di Cristo. Rinunciando alla sua gloria divina, si è fatto servo e si è umiliato fino alla morte di croce, sperimentando l'abbandono come condizione umana e offrendo una risposta divina alla sofferenza.
(Continua…)









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