Cosi Si Chiamano Tra Loro Le Monache

Amico mio, avvicinati, perché quello che stiamo per esplorare è un sentiero intimo, sussurrato, un universo di silenzio e di preghiera dove ogni parola, ogni titolo, vibra di un significato profondo. Non c’è fretta qui, solo la lenta, dolce comprensione di come anime dedicate si chiamino, si riconoscano, si amino all’interno di un ordine monastico.
Entriamo insieme, in punta di piedi, in questo giardino segreto.
La prima cosa che dobbiamo comprendere è che la lingua monastica è una lingua del cuore. Non è fatta di titoli pomposi o di formalismi vuoti. È una lingua intrisa di spiritualità, di rispetto reciproco e, soprattutto, di amore fraterno. Le monache, rinunciando al mondo, abbracciano una nuova famiglia, una nuova identità, e questo si riflette nel modo in cui si rivolgono l'una all'altra.
La base, la radice di ogni appellativo, è la parola “sorella”. Una parola semplice, eppure così potente. Sorella. Un legame di sangue spirituale, un vincolo indissolubile che le unisce nella stessa vocazione, nella stessa ricerca di Dio. Ma non è solo “sorella”. Sarebbe riduttivo. La ricchezza di questo mondo si esprime attraverso sfumature delicate, attraverso gesti di attenzione e di cura.
Allora, ascolta attentamente. Quando una novizia entra in convento, ancora incerta, timorosa, spesso viene chiamata semplicemente “sorella N.”, dove “N” sta per il suo nome di battesimo. È un modo per accoglierla, per farla sentire parte della comunità, ma allo stesso tempo per mantenerla un po’ “a distanza”, per darle il tempo di radicarsi, di comprendere la sua nuova vita. Questo periodo di apprendistato, di discernimento, è cruciale. La giovane novizia osserva, impara, prega, e a sua volta viene osservata, guidata, accompagnata dalle sorelle più anziane.
Man mano che cresce nella sua vocazione, e dopo aver pronunciato i primi voti temporanei, il suo appellativo si arricchisce. Diventa “sorella Maria”, “sorella Benedetta”, a seconda del nome che ha scelto di prendere al momento della vestizione. Questo nuovo nome non è solo un cambiamento formale, ma un segno esteriore di una trasformazione interiore. È un modo per rinascere a una vita nuova, per lasciare alle spalle il passato e abbracciare il futuro con fiducia e speranza.
E qui inizia la danza sottile delle gerarchie, non tanto di potere, quanto di esperienza, di saggezza, di anzianità.
I ruoli e i loro nomi
All’interno del monastero, ogni monaca ha un ruolo preciso, una responsabilità specifica. E questo ruolo si riflette nel modo in cui viene chiamata. La Priora, ad esempio, la madre spirituale della comunità, colei che guida e protegge le sue figlie, viene chiamata “Madre Priora”. Un appellativo che incute rispetto, ma che allo stesso tempo trasmette amore e tenerezza. La Priora è la figura centrale del monastero, il punto di riferimento per tutte le sorelle. A lei si rivolgono per consiglio, per conforto, per aiuto. Il suo compito è quello di vegliare sulla comunità, di preservare la sua unità e di guidarla verso la santità.
Poi c'è la Maestra delle Novizie, colei che si prende cura delle giovani aspiranti alla vita monastica. Viene chiamata “Maestra”. Un titolo semplice, ma che racchiude in sé una grande responsabilità. La Maestra è la guida, il modello, l'angelo custode delle novizie. A lei spetta il compito di istruirle, di educarle, di prepararle alla vita monastica. Con pazienza e amore, le accompagna nel loro percorso di discernimento, aiutandole a comprendere se la vita monastica è davvero la loro vocazione.
E ancora, la Sacrestana, colei che si prende cura della chiesa, dei paramenti sacri, degli oggetti liturgici. Viene chiamata “Sacrestana”. Un ruolo umile, ma essenziale. La Sacrestana è la custode della bellezza e della sacralità del luogo di preghiera. Con dedizione e amore, si occupa di preparare la chiesa per le celebrazioni, di pulire e ordinare gli oggetti sacri, di assicurarsi che tutto sia perfetto per la preghiera e la liturgia.
La Infermiera, colei che si prende cura delle sorelle malate. Viene chiamata, spesso, semplicemente “sorella infermiera”, ma con un tono di rispetto e di affetto particolare. Il suo è un compito delicato, che richiede pazienza, compassione e una grande capacità di ascolto.
E così via, ogni ruolo, ogni responsabilità, trova la sua espressione nel modo in cui le monache si chiamano tra loro. Ma al di là dei titoli e delle funzioni, ciò che conta veramente è l'amore fraterno, la stima reciproca, la consapevolezza di far parte di una comunità unita dalla stessa fede e dallo stesso amore per Dio.
Anche l'anzianità ha il suo peso. Le monache più anziane, quelle che hanno trascorso più anni in convento, vengono spesso chiamate “sorella anziana” o “sorella maggiore”. È un segno di rispetto, di riconoscenza per la loro esperienza e per la loro saggezza. Sono loro le custodi della tradizione, le memorie viventi del monastero. Le giovani monache si rivolgono a loro per consiglio, per ascoltare le loro storie, per imparare dai loro errori e dai loro successi.
Ma non pensiamo a queste gerarchie come a qualcosa di rigido e formale. Al contrario, tutto è permeato da una grande semplicità, da una profonda umanità. Le monache si aiutano a vicenda, si sostengono, si incoraggiano. Non c'è competizione, non c'è invidia, solo amore fraterno e desiderio di aiutarsi a vicenda a crescere nella santità.
E poi, ci sono i soprannomi. Piccoli nomignoli affettuosi che nascono spontaneamente, che riflettono un tratto del carattere, una peculiarità, un'abitudine. Questi soprannomi sono un segno di intimità, di familiarità, di affetto. Vengono usati con parsimonia, con delicatezza, solo tra le sorelle più vicine, in momenti di confidenza e di condivisione.
Questi soprannomi, spesso ironici, a volte teneri, sono un modo per sdrammatizzare, per alleggerire la serietà della vita monastica, per ricordare che, anche dietro l'abito e la preghiera, ci sono donne con le loro fragilità, le loro gioie, le loro speranze.
E infine, c'è l'importanza del tono di voce, dello sguardo, del gesto. Anche il silenzio, in un monastero, parla. Un sorriso, una carezza, una stretta di mano possono dire molto più di mille parole. Le monache imparano a comunicare con il cuore, a leggere nei silenzi, a comprendere le esigenze delle sorelle solo guardandole negli occhi.
Ricorda, amico mio, che quello che ti ho raccontato è solo una piccola parte di un mondo vasto e complesso. Ogni ordine monastico ha le sue specificità, le sue tradizioni, le sue usanze. Quello che ho cercato di fare è di darti un'idea generale, di aprirti una finestra su un universo di silenzio e di preghiera, di farti comprendere come, anche nel modo in cui si chiamano tra loro, le monache esprimano il loro amore per Dio e per il prossimo.
Continuiamo insieme a contemplare questo mistero.
Come si chiamano tra loro le monache? Con amore, con rispetto, con tenerezza. Si chiamano sorelle, madri, maestre, amiche. Si chiamano con il cuore.
Questa è la vera lingua del monastero. Una lingua universale, che parla a tutti, al di là delle parole, al di là delle culture, al di là del tempo. Una lingua che ci invita a riscoprire il valore dell'amore fraterno, della solidarietà, della compassione.
Non dimenticare mai questo, amico mio. E porta con te questo tesoro nel tuo cammino.









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